lunedì 9 aprile 2018

Maldive: KANUHURA - DHIDHDHOO - DHARAVANDHOO

Martedì 3 aprile salpiamo da Feevah alle 6.40; è appena l’alba ma dobbiamo percorrere 53 miglia, e vogliamo arrivare con il sole ancora alto.
Persevero nel mettere la traina, anche se fino ad ora non ci ha dato alcuna soddisfazione; questa volta però, verso le 13, arriva l’inconfondibile sibilo del mulinello, che non sentivo da molto tempo. Mi precipito al recupero e senza troppa fatica tiro su un grosso barracuda, sui 5-6 kg; non è un pesce che amiamo, per fortuna dopo pochi minuti vediamo lì vicino un pescatore solitario su una piccola barca, gli faccio cenno di avvicinarsi e gli offro il barracuda che lui accetta volentieri. Il passaggio della preda avviene direttamente, dalla nostra canna alla sua barca, senza neanche fermarci. Grandi saluti e via! Riprendiamo la navigazione e rimetto la traina, sperando di prendere qualcosa di meglio. Illusione...
Alle 16.10 arriviamo a Kanuhura, dove caliamo l’ancora su 14 metri di fondale sabbioso, con qualche macchia di corallo basso, acque limpide (5°31.811’N 73°29.962’E). La cartografia C-Map si rivela alquanto imprecisa, mentre la Navionics, seppure scarsa di dettagli, è almeno correttamente posizionata.  Kanuhura è una piccola isola facente parte dell’atollo Lhaviyani, occupata interamente da un resort e contornata da un esteso reef, interrotto artificialmente in corrispondenza del pontile di attracco cui si accede attraverso un canale segnalato da due luci (rosso a sinistra, verde a destra) e da paletti bianchi. C’è un discreto movimento di idrovolanti e water taxi che caricano e scaricano turisti. La struttura del resort è poco visibile dal nostro ancoraggio (il che è un bene: impatto paesaggistico contenuto), solo di sera si accendono a terra mille luci, quasi vi fosse una cittadina.



Il nostro programma prevede una giornata di sosta, di cui approfitto per completare la pulizia della carena e poi dedicarmi al nostro malato di bordo: l’autopilota.  Smonto l’attuatore, controllo il motore e le spazzole, pulisco il collettore; verifico che, alimentandolo separatamente, il motore funziona.
A questo punto la diagnosi comincia a delinearsi con maggiore chiarezza: il guasto deve essere nella centralina. Ma è un punto delicato e prima di metterci le mani mi piacerebbe avere un parere di un tecnico. Tramite il nostro amico Umberto di Genova (armatore di Be Quiet2, gemella di Refola, e in procinto di raggiungerci in aereo per una breve vacanza alle Maldive) riesco a contattare un tecnico Raymarine di Lavagna: “C’è una semplice prova da fare: metti il pilota in modalità Auto, dai il comando +10 due volte e verifica se ai morsetti di uscita della centralina c’è tensione”. Effettuiamo la prova e la diagnosi è finalmente confermata: il guasto è sulla centralina. La brutta notizia è che, a parere del tecnico, è molto difficile poterla riparare, non esistono nemmeno i ricambi perché non è più in produzione.
Purtroppo non ho alternative: non mi resta che smontare la centralina dell’autopilota secondario e applicarla a quello principale, che avendo l’attuatore direttamente sul timone risulta più potente e preciso. Rimando però l’operazione alla prossima sosta.
Giovedì 5 aprile riprendiamo la navigazione per Dhidhdhoo, altra piccola isola che si trova 10 miglia a SW, sull’estremità dello stesso atollo Lhaviyani.
Nel breve percorso peschiamo nuovamente: questa volta è un tonno, ma lungo appena 20 cm.! Come lo tiro su in coperta, il piccolo tonnetto si libera dall’amo, ed io, inspiegabilmente, lo blocco nel secchio invece di lasciarlo tornare in acqua. Lilli dice che in questi momenti si capisce perché sono le donne e non gli uomini a mettere al mondo i bambini. In effetti devo dire che, a distanza di giorni, ho ancora il rimorso di averlo ucciso.
Alle 12.30 siamo a destino ed ancoriamo su 9 metri di sabbia, con qualche macchia di corallo morto, (5°22.971’N 73°22.909’E); l’acqua è limpidissima e piena di pesci di grandi e piccoli, di tutti i colori.
Dhidhdhoo (altro nome duro per noi da pronunciare, con tutte quelle inutili h) è un’isola disabitata, con molte palme, contornata da un esteso bassofondale a nord e da un lungo reef a sud, che è poi quello che chiude l’atollo Lhaviyani. È un posto rilassante e solitario, dove si apprezzano i bagni nell’acqua chiara e trasparente. Durante la nostra sosta arrivano due barche a motore con a bordo famiglie di locali; fanno un pic-nic sull’isola e se ne vanno prima del tramonto.  
Il giorno seguente lasciamo l’atollo Lhaviyani per spostarci in quello successivo, Baa. La nostra destinazione è Dharavandhoo, a 23 miglia, dove c’è un altro piccolo Local Harbour. Da Anna e Paolo di Zoomax avevamo saputo che vi si trova anche un centro diving italiano, condotto da Virgilio e Jessica, che avevamo contattato già dall’Italia. L’idea è quella di fare con loro un breve corso di ripasso (“Scuba Review”), visto che sono molti anni che non faccio immersioni degne di questo nome. Così, una volta in vista dell’isola, chiamiamo Virgilio per prendere accordi; lo cogliamo in procinto di partire con la moglie Jessica per Singapore, dove pare ci sia una fiera di subacquea. “Non ti preoccupare - dice Virgilio - avviso i miei uomini che ti diano una mano per l’ormeggio; noi torneremo lunedì sera”.
In effetti, quando arriviamo alle 14.10, ci rendiamo conto che ormeggiare in questo porticciolo sarebbe davvero difficile senza assistenza. Nel piccolo bacino, di forma rettangolare, non c’è spazio per stare alla ruota; inoltre tutta l’area di manovra è ingombra di cime galleggianti e del calumo in tessile delle numerose barche in banchina.
Individuiamo subito il collaboratore di Virgilio, che ci fa cenno di portare la prua sul frangiflutti e mettere l’ancora a poppa; mentre armiamo la nostra Fortless 9 con 10 metri di catena + tessile, Mustafà ci raggiunge a nuoto con maschera e pinne. Ci indica il posto in cui calare l’ancora e in apnea fissa a due anelli cementati alla base del frangiflutti (quindi sott’acqua) le nostre due cime di ormeggio di prua. Altri collaboratori del diving arrivano con una piccola barca a motore per completare la messa a punto dei cavi. Lilli ancora si chiede come avremmo fatto senza di loro … ragazzi giovani e molto gentili, che addirittura parlano un po’ di italiano! 



In assenza di Virgilio e Jessica, parliamo con un altro istruttore italiano del loro centro, Raffaele, al quale diciamo che aspettiamo per domenica 8 aprile l’arrivo dei nostri amici Umberto e Ornella per organizzare il nostro corso di “ripasso”.
Nel frattempo mi dedico nuovamente all’autopilota: confermata la diagnosi di guasto alla centralina, provvedo all’espianto dal pilota n.2 e al trapianto sul principale. Un’operazione di pazienza, in cui devo scollegare e ricollegare decine e decine di fili, ma che alla fine riesce perfettamente: il pilota principale è nuovamente funzionante!