domenica 30 luglio 2017

Phuket e Boat Lagoon marina

Il 25 luglio alle 9 in punto torniamo col dinghy al lungo molo di Chalong Bay per le pratiche di ingresso, che si rivelano semplici e veloci. Eravamo preparati al peggio, per quanto letto qui e là, molti parlavano di corruzione e di richieste di denaro da parte di qualche funzionario, invece tutto si svolge con una professionalità ed una gentilezza esemplari.
Primo step: si passa in un ufficio per la registrazione on line, dove una gentile signorina ti aiuta a digitare sul pc il modulo con le informazioni di base della barca e dell'equipaggio. Qui si possono far fotocopiare (10 bath la copia = 0,26 €) i passaporti e i documenti della barca, perché occorre triplice copia di tutto. Poi, secondo step, si va al piano di sopra dall'Harbour Master, cui va mostrata la clearance del porto precedente; terzo step l'immigrazione (dove ti fotografano, come all'aeroporto) ed infine la dogana. Non abbiamo pagato nulla tranne le fotocopie e dopo circa 30 minuti era tutto finito. Bravi!
La nostra breve puntata in Thailandia ha tre scopi principali: vedere negozi di articoli nautici un po' più forniti di quelli malesi, cercare di caricare le bombole del gas per la cucina, poter rientrare in Malesia con un nuovo visto turistico da 90 giorni (il vecchio ci sarebbe scaduto il 23 agosto). 
A questi si è aggiunta anche una commissione affidataci da Ruz, la segretaria del marina di Pangkor: trasportare delle grosse taniche di vernice e consegnarle ad un certo Pierre, navigatore francese partito da poco per Phuket. Naturalmente ci siamo resi disponibili e abbiamo preso accordi con Pierre di raggiungerlo al marina di Boat Lagoon.
Il Boat Lagoon è circa 15 miglia a nord di Chalong: vi si accede attraverso un tortuoso canale dragato, lungo circa 2-3 miglia, utilizzabile di fatto esclusivamente nelle 2 ore di alta marea, anche per il nostro relativamente basso pescaggio.
Dopo le pratiche torniamo a bordo, salpiamo e in breve tempo, anzi con una mezz'ora in anticipo rispetto all'alta marea, siamo all'imbocco del canale del Boat Lagoon. Vediamo un'unica fila di pali, tutti uguali, non si sa se passare a destra e sinistra (apprenderemo poi che vanno lasciati a sinistra, entrando). In più, il percorso che intravediamo non corrisponde affatto a quello indicato sulla cartografia Navionics (peraltro del tutto assente su C-Map). Poiché abbiamo saputo da Fabio e Leopoldo che il marina fornisce un servizio di pilotaggio, per precauzione chiamiamo il marina al VHF canale 69. Nessuna risposta. Chiamiamo al telefono ma riusciamo ad ottenere solo le coordinate del punto di accesso. Grazie signorina, qui ci siamo, ma "per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare?" Lilli chiude la telefonata un po' (molto) contrariata, anche perché nel frattempo il cielo è diventato nero e minaccioso. Fortunatamente dopo un po' riusciamo a metterci in contatto con il marina via VHF, la comunicazione è frammentata e poco chiara, speriamo che abbiano capito… Arriva il temporale, la pioggia riduce sensibilmente la visibilità, il vento è a 30 nodi con raffiche a 35, e io e Lilli con la giacca della cerata a scrutare la costa … finalmente arriva una barca a motore con due marinai: uno sale a bordo, con non poca difficoltà a causa del vento che rende difficile l'accosto.
Seguiamo la barca tenendo i pali a circa 10 metri sulla sinistra, tutto procede bene anche se con la l'alta marea di 3.4 metri abbiamo trovato profondità inferiori: 2.95, 2.75 e nell'ultima curva poco prima del marina 2.35 metri.
Boat Lagoon è un posto lussuoso, con annesso hotel, piscina, alloggi e negozi vari, però gli spazi di manovra sono abbastanza stretti e le acque ferme e sporche, mosse solo dai 2 metri di marea.

In compenso ci sono numerosi negozi di articoli nautici, ben forniti anche se un po' più cari rispetto alla Malesia, e un supermercato alimentare con prodotti europei, naturalmente a prezzi d'importazione.
Nel pomeriggio incontriamo Pierre: è giovane, meno di 50 anni, simpatico e molto premuroso nei nostri confronti. Lo credevamo un velista e invece scopriamo con grande sorpresa che la sua barca è una piccola nave tipo rompighiaccio, e l'area delle sue navigazioni è l'oceano artico!
Il mattino del 26 luglio, con l'auto a noleggio gentilmente messaci a disposizione da Pierre, risolviamo il problema delle bombole di gas. Poco distante dal marina c'è la stazione del gas, dove facciamo caricare le nostre 5 camping gas da 3 kg e ne acquistiamo una nuova da 7, con il proprio regolatore: complessivamente 76 € (prezzi decisamente bassi). Molto bene, perché eravamo proprio agli sgoccioli!
A mezzogiorno, con Pierre e sua moglie Mor (sulla quarantina, originaria di Hong Kong), andiamo in città per fare spese ad un grosso supermercato. In realtà la maggior parte del tempo la passiamo in un ristorante "sushi": un'esperienza per noi del tutto nuova. Tutta la sala è percorsa da una sorta di mini tapis roulant su cui scorrono piattini con pietanze di ogni tipo (carne, pesce, verdure). Su ogni tavolo c'è una piastra a induzione con una pentola di acqua portata a ebollizione. Ognuno, senza alzarsi dalla propria sedia, prende dal nastro il cibo che gli aggrada e lo cuoce per il tempo che ritiene. Poi se lo mette sul piatto, lo condisce con salsine varie, e se lo mangia. Il prezzo è fisso (circa 10 € a testa) ,si mangia e si beve (no alcool) a sazietà. Divertente, buono e non troppo caro!
Pierre ci racconta un po' della sua vita. Originario di La Rochelle (Francia) è emigrato molto giovane in Canada, dove ha intrapreso poi la sua attività nell'oceano Artico: avendo base in Groenlandia, porta esploratori e studiosi, meno spesso semplici turisti, in zone impervie dove è possibile navigare solo alcuni mesi all'anno. Ci mostra foto mozzafiato di ghiacciai, con luci e colori incredibili. "Dovresti pubblicarle" gli diciamo, ma Pierre alza le spalle, per lui è la normalità.
Venerdì 28 salutiamo Pierre e Mor e lasciamo il marina con l'alta marea delle 13. Una scelta un po' obbligata, perché domani la marea è al limite per passare senza toccare, e poi per circa 10 giorni a venire resteremmo imprigionati qui, a prezzi non certo economici (circa 53€/notte) rispetto alle nostre abitudini.
Una volta fuori dal canale, navighiamo per poco più di 3 miglia ed ancoriamo ad est di due isolette, Ko Rang Noi e Ko Rang Yai, separate da uno stretto passaggio. Un ancoraggio tranquillo anche se leggermente rollante, su un fondale sabbioso di 7-8 metri (7°57.731'N 98°27.305'E).
Il giorno seguente salpiamo in tarda mattinata, riprendendo la rotta a sud verso Chalong. Il vento è sui 15 nodi, con frequenti raffiche che arrivano a 25. Possiamo ora testare le nuove vele con una robusta bolina e in condizioni molto variabili di intensità e direzione del vento: più leggere delle precedenti, ho l'impressione che, essendo nuove, siano ben più sensibili ai minimi cambi di vento. Dovrò studiarne bene la regolazione.
Con una serie di bordi raggiungiamo Ao Yon, una baia a sud-est di Chalong, e alle 16.10 gettiamo l'ancora su un fondale di sabbia-fango sui 4-5 metri (7°48.560'N 98°23.735'E).
La baia è tranquilla, riparata, anche se parzialmente occupata da una coltivazione di ostriche; ha due piccole spiagge scarsamente frequentate e sulle verdi colline che la circondano vediamo numerose abitazioni, a terrazza. In lontananza, spicca l'imponente statua del "Big Buddha", alta 45 metri, talmente grande da essere visibile da ogni punto del sud dell'isola.

Le raffiche fanno brandeggiare dolcemente Refola, in più non c'è il via vai di Chalong. Qui ozieremo un paio di giorni, in attesa di fare le pratiche di uscita il primo agosto.

lunedì 24 luglio 2017

Arrivo a Phuket e prime impressioni

Sono le 12.05 di sabato 22 luglio quando, recuperato il nostro coprigommone ed i nuovi copri-oblò, salpiamo dalla baia di Telaga: abbiamo 26 miglia da percorrere, manco a dirlo ancora a motore. Alle 16.15 arriviamo a Ko Lipe, l'isoletta più meridionale del Butang Group; ancoriamo nella parte nord, nel canale che la separa dalla maggiore isola di Adang, su un fondale sabbioso di 9-10 metri (6°29.872'N 99°18.030'E) .
In avvicinamento notiamo sulla spiaggia centinaia di piccole imbarcazioni, probabilmente di pescatori che solo verso sera iniziano la loro attività, ma quello che ci colpisce maggiormente sono i colori dell'acqua, dall'azzurro chiaro al blu, trasparente da vedere il fondo.
Ci eravamo ormai dimenticati che l'acqua può essere anche trasparente: se escludiamo qualche punto dalle parti dell'isola di Komodo, per riacciuffare un ricordo di acqua pulita dobbiamo tornare indietro a settembre 2016, quando eravamo nel parco di Raja Ampat a nord della Papua.
Finalmente facciamo il primo bagno della stagione, dopo due mesi! Con l'occasione ho voluto fare un controllo della chiglia. Un piccolo tarlo mi infastidiva da quando abbiamo lasciato Pangkor: al primo ancoraggio all'isola di Madang, durante la solita perlustrazione della piccola baia, ho sentito la barca toccare il fondo. Eravamo praticamente fermi, solo un po' di scarroccio per la corrente, lo scandaglio segnava 4-5 metri di fondo ma la visibilità era zero. Ebbene, dobbiamo aver urtato contro uno scoglio coperto da appena un metro e mezzo d'acqua e purtroppo non con la chiglia, ma con la punta del timone, che è strutturalmente più debole. Ecco la foto del danno, non gravissimo ma sempre sgradito. 
A parte questa amara constatazione, cui porremo rimedio tra un mesetto quando Refola uscirà nuovamente dall'acqua, il nostro ancoraggio si è rivelato piacevole e discretamente protetto dalla risacca.
Il giorno seguente riprendiamo la navigazione verso Phuket, per un'altra tappa giornaliera fino all'isola Ko Rok Nok, a 46 miglia; le autorità thailandesi permettono alcune soste nel loro territorio prima di formalizzare l'ingresso, ma non troppe e soprattutto entro 7 giorni dalla partenza da Langkawi bisogna registrare ufficialmente l'entrata.
Alle 15.30 arriviamo a destinazione. Ko Rok Nok è un parco naturale, il paesaggio suggestivo e l'acqua limpida.
Per evitare che le barche danneggino i coralli con l'ancora, nella baia sono posizionate diverse boe; ne prendiamo una di quelle più esterne, fondale di 33 metri, con un cimone molto robusto e soprattutto di recente installazione (7°12.847'N 99°04.374'E).
Poco dopo di noi arriva un catamarano, proveniente da nord, e prende una boa nelle acque più basse.
Naturalmente non rinunciamo ad un bel bagno ristoratore (anche se la temperatura dell'acqua è sui 27-28°) e ceniamo in pozzetto nella quiete più assoluta.
Sul portolano avevamo letto che essendo l'isola parco naturale viene richiesto il pagamento di una tassa di 500 bath (circa 13 €). Sarà forse perché è domenica, ma nel nostro caso nessuno è venuto a riscuotere, e per fortuna, visto che siamo totalmente sprovvisti di valuta locale.
Lunedì 24 luglio alle 8.20 molliamo l'ormeggio. Nel programma avevamo previsto prima di Phuket un'altra tappa intermedia, di 37 miglia; ma leggendo su www.noonsite.com gli orari di apertura degli uffici per il check-in abbiamo realizzato che in nessun caso saremmo riusciti a registrare il nostro ingresso nello stesso pomeriggio dell'arrivo. Gli orari sono infatti 9.00-12.00 e 13.00-15.00. Avremmo aggiunto un giorno ai 7 che siamo obbligati a passare fuori dalla Malesia, e visto che (tanto per cambiare) siamo di corsa optiamo per un tappone unico da 59 miglia che ci porta direttamente alla baia di Chalong, sul versante meridionale di Phuket, dove è previsto fare le pratiche per l'ingresso in Thailandia.
In avvicinamento arriva anche un po' di vento, prima sugli 8-10 nodi e quasi all'arrivo sui 15, ma ce l'abbiamo proprio sul naso, peccato, è troppo tardi per tirare qualche bordo.
Per entrare a Chalong, provenendo da sud, lasciamo a sinistra l'isola Ko Hi, dove c'è il mondo: paracaduti ed enormi bruchi gonfiabili trainati da potenti motoscafi, una spiaggia che sembra un formicaio, centinaia di turisti e numerosissime barche che fanno la spola per riportarli all'isola principale.
Imbocchiamo il canale tra Phuket e l'isola Ko Lon e alle 16.40 siamo a Chalong Bay: una baia immensa, piena di imbarcazioni di ogni genere e dimensione, diporto, pescherecci, turismo, navi cargo. Più che in mare ci sembra di essere su una pista di autoscontro.
La maggior parte delle barche sono alla boa, e molte boe sono in effetti libere, ma non si sa fino a quando, c'è il rischio che il legittimo titolare venga prima o poi a reclamarla.
Decidiamo quindi di ancorare in uno spazio libero dietro ad un grosso motoscafo, ma ci rendiamo presto conto che lo spazio è libero perché è il tratto delimitato dai segnali di accesso, infatti quando inizia il rientro delle orde turistiche vediamo barche sfrecciarci sia a destra che a sinistra, anche a notevole velocità. Ci spostiamo allora fuori dalla prima coppia di segnali, costituiti da 2 alti piloni in cemento, su un fondale di 5-6 metri (7°48.839'N 98°21.468'E).
Abbiamo ancora un po' di tempo prima del buio, così mettiamo in acqua il nostro dinghy e scendiamo a terra giusto per dare un'occhiata in giro ed agli uffici dove andremo domani, ma soprattutto per prelevare ad un ATM e acquistare una sim locale per la connessione internet.
Lasciamo il dinghy all'estremità esterna del lungo pontile in cemento lungo (circa un chilometro) che collega la terraferma ai diversi punti di attracco dei traghetti turistici, su cui trova posto anche una grande costruzione moderna, col tetto blu, che ospita gli uffici di dogana, immigrazione e Harbour Master. Restiamo nuovamente basiti dall'intensità del traffico turistico: una fila di spartani camioncini fa la spola per riportare ai loro pullman centinaia e centinaia di persone. Noi invece preferiamo andare a piedi (non solo non abbiamo i soldi per pagare il biglietto, ma nemmeno avremmo voglia di essere stipati come sardine insieme a tutta quella gente). Lilli dice: "Per farmi fare la turista in quel modo dovrebbero pagarmi, e tanto!". Ancora una volta ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati, ad essere qui per conto nostro, su una barca-casa tutta nostra, che ci porta dove vogliamo!

Preso un po' di denaro e la sim Thai, in tutta fretta ce ne torniamo su Refola per passare la prima notte all'ancora, nella baia di Chalong.

sabato 22 luglio 2017

Langkawi

Domenica 16 luglio lasciamo il nostro ancoraggio a sud di Georgetown diretti, con una sosta intermedia per la notte, a Langkawi. Di buonora iniziamo a salpare, già preparati a trovare la catena completamente infangata: armati di spazzole e canna di acqua dolce (la pompa dell'acqua salata per il lavaggio della catena ci dà poca pressione) impieghiamo un'ora di lavoro e quasi 150 litri per pulire e passare palmo a palmo 60 metri di catena. Alle 9 siamo liberi e riprendiamo il mare.
Per proseguire verso nord, a causa dei bassi fondali, dobbiamo tornare indietro sulla traccia già percorsa e aggirare a sud l'isoletta Jerojak. Passiamo sotto il secondo ponte che collega l'isola di Penang alla terraferma, anche questo con una luce libera di 28 metri, costeggiamo Georgtown e seguiamo il canale segnalato da coppie di boe (rosse a destra e verdi a sinistra) per circa 10 miglia.
In assenza di vento, navighiamo a motore fino a destinazione; approfittiamo del mare piatto per fare quattro giri di bussola e ricalibrare il pilota automatico; alle 15.45 diamo fondo su 8 metri, fondale di sabbia/fango, a nord-est dell'isola Bidan (5°45.018'N 100°17.375').
Sull'isola una piccola costruzione ci sembra inizialmente disabitata, ma la vediamo illuminarsi debolmente all'imbrunire. Ci abiterà qualcuno? Non vediamo anima viva…
Riprendiamo la navigazione l'indomani per le ultime 43 miglia che ci separano da Langkawi; come sempre vento scarso sui 5 nodi, ma verso mezzogiorno rinforza sugli 8-10; nonostante l'andatura al granlasco, con randa e genoa manteniamo una media di 6 nodi, grazie anche all'aiutino della corrente.
È la prima volta che proviamo le vele nuove della Lee Sail di Hong Kong: devo dire che sono fatte bene ed hanno un bel taglio, ancora un grazie a Davide Zerbinati, rappresentante in Italia di Lee Sail, che ci ha assistito nell'ordine e nella consegna.
Il vento si mantiene debole ma costante fino a 3 miglia dall'arrivo, quando imbocchiamo il canale sul versante sud-est di Langkawi, tra Pulau Tuba e gli isolotti Nyior Setali Laut e Nyior Setali Darat.
Alle 16.30 ormeggiamo al Royal Marina Yacht Club di Kuah, centro principale dell'isola.
Pensavamo ad un marina di serie C, perché sulla cartografia elettronica è segnalato male e senza dettagli, inoltre tutta la baia ha fondali bassi che si estendono molto al largo. Invece all'interno del marina i fondali sono circa 7-8 metri, c'è il distributore di carburante e perfino l'impianto per aspirare le acque nere, i pontili galleggianti sono di nuova fattura e molto robusti, circa 200 posti barca disponibili (con i finger, senza corpo morto). Anche i prezzi, come in tutta la Malesia, sono bassi: 150 RM (30 €) al giorno per un 53 piedi, compreso acqua ed elettricità.
Nella struttura a terra, oltre alla reception, c'è un hotel con piscina, alcuni bar-ristoranti e molti negozi.

Altro segno evidente della vocazione turistica e della ricchezza dell'isola è il grande terminal -nazionale e internazionale - dei traghetti, che oltre agli uffici di immigrazione, Custom ed Harbour Master, ospita un grande centro commerciale con negozi e ristoranti, aria condizionata a go-go dappertutto.
All'esterno un grande parcheggio, curati giardini, fontane con giochi d'acqua e un'imponente scultura raffigurante un'aquila, che nonostante l'aspetto piuttosto minaccioso sembra dare il benvenuto a chi proviene dal mare.

Grazie all'indicazione di Gerard di Cassiopee (chiamare Stanley al +60 17 578 8632) noleggiamo per 4 giorni una macchina, un po' scassata per la verità, ma con l'aria condizionata perfettamente funzionante, al costo di 40 RM al giorno (8 €).
Dopo aver completato le pratiche di arrivo, ci dedichiamo alla visita dei vari duty free. Essendo isola di frontiera verso la Thailandia, Langkawi è porto-franco: vino, birra, alcolici, tabacco sono esentasse ed a prezzi dimezzati rispetto al resto del paese. Ci sono comunque limitazioni sulle quantità (3 stecche di sigarette, 5 casse di birra, 5 litri di alcolici a persona per un mese), e da novembre 2016 è stato attivato un sistema di controllo on line, che obbliga i negozianti a registrare gli acquisti effettuati dai clienti stranieri, insieme alle loro generalità. Abbiamo però notato, da bravi italiani, che in alcuni negozi non viene nemmeno richiesto il passaporto e questo potrà tornare utile il prossimo anno, quando uscendo dalla Malesia per affrontare l'oceano Indiano avremo bisogno di scorte mooolto consistenti.
Quest'anno invece prendiamo nota dei prezzi e compriamo qualche bottiglia, giusto per assaggiare e valutare il miglior rapporto qualità/prezzo; come supermercato il nostro preferito è Teow Soon Huat Duty Free, dove abbiamo trovato addirittura vasetti di capperi, finora assolutamente introvabili in Malesia!
Oltre a quella delle batterie, per fortuna conclusa felicemente, su Refola c'è un'altra storia infinita: quella della capottina. A bordo abbiamo ancora quella originale, datata come la barca 2004. Ha svolto un lavoro egregio, ci ha protetto da pioggia, vento e spruzzi per oltre 50.000 miglia, ma ormai, poverina, mostra i segni del tempo. Da un paio di anni saremmo dell'idea di cambiarla, abbiamo studiato il progetto per rifarla con alcune migliorie, traendo spunto da quella che l'amico Umberto Milici ha fatto fare per Be Quiet 2, gemella di Refola. Abbiamo chiesto preventivi in Italia, in Nuova Zelanda, e anche in Malesia. Chiedevano o troppi soldi, o troppo tempo, o addirittura che portassimo la barca in Italia … insomma, nulla di fatto finora.
Uno dei nostri riferimenti è proprio qui a Langkawi, riferimento un po' vago visto che una nostra mail di oltre un anno fa è rimasta senza risposta. Ma ora che siamo qui decidiamo di tentare un contatto diretto. Più facile a dirsi che a farsi, ma dopo una giornata di ricerche riusciamo finalmente ad ottenere il numero di cellulare di Chris, titolare della Yacht Worx, e a fissare un appuntamento. Piuttosto sbrigativamente ci fa un preventivo per la nuova capottina, ancora troppo alto (8000 RM, pari a circa 1700 €). Per il momento ci limitiamo a richiedergli alcune riparazioni al tendalino da sole e alla copertura del gommone, oltre alla confezione di quattro nuovi copri-oblò.
Fortunatamente riusciamo a dedicare una mezza giornata ad un giro esplorativo: andiamo a vedere, nella zona settentrionale dell'isola, la bella spiaggia di Tanjung Rhu (area in cui sembrano esserci belle zone di ancoraggio), ed a ovest il marina di Telaga.

Molto più spartano del Royal Yacht Club, il marina di Telaga occupa quasi interamente una baia molto protetta, cui si accede attraverso un canale stretto e non molto profondo. Purtroppo all'interno le acque sono sporche e stagnanti; c'è un negozio di ricambi e servizi nautici, Blueshelter, gestito da un gentile ragazzotto francese, Manu.
Sulla via del ritorno verso Kuah, a circa 3 km da Telaga, mangiamo ottimi gamberi giganti in un originale ristorante costruito intorno ad una barca a vela in disarmo!


Per completare le informazioni nautiche su Langkawi, per mettere la barca a terra ci sono due cantieri: il primo circa 4 miglia ad ovest del Royal Yacht Club di Kuah, dotato di grande travellift, Northern Shipyard (6°18.45'N 99°48.09'E); il secondo nella piccola isola di Rebak a sud-ovest di Langkawi, presso l'omonimo marina (6°17.492'N 99°41.699'E).
Sabato 22 luglio, con i documenti in regola per l'uscita dalla Malesia, lasciamo il marina; ci fermiamo brevemente per ritirare le nostre coperture a Telaga (dove Chris e suo fratello John vivono in barca)  e proseguiamo la nostra navigazione verso Ko Lipe, prima tappa di avvicinamento a Phuket.

lunedì 17 luglio 2017

Penang - Georgetown

Primo giorno in mare da novembre 2016: navigazione senza vento, a motore! La tappa è breve, circa 15 miglia, sufficienti per realizzare cosa vuol dire non essere più attaccati alla banchina, con l'aria condizionata 24h/24. L'aria intorno a noi è immobile e satura di umidità, ma il nostro umore, dopo tanta attesa, resta alto.
Alle 14.45, siamo a destinazione e, pressoché liquefatti, caliamo l'ancora ad est della piccola isola di Medang, su un fondo di sabbia-fango di circa 10-11 metri (4°25.195'N 100°19.099'E).
Il moto di marea e la corrente rendono l'ancoraggio non proprio perfetto, ma accettabile. Durante la notte un violento temporale con raffiche improvvise sui 25-30 nodi mi fa alzare e rimanere sveglio una mezzora, per tenere sotto controllo la tenuta dell'ancora. Lilli, nel frattempo, se la dorme alla grande.
Mercoledì 12 luglio alle 7 del mattino siamo pronti per salpare. Siamo ancora senza vento e avanziamo a motore, per fortuna con un po' di corrente a favore. Refola non si lamenta, ma secondo noi soffre un po' e pensa: "Ma dove mi avete portato? E quando proviamo le vele nuove?". Cara Refolina, vorremmo saperlo anche noi!
Giunti all'isola di Penang, passiamo sotto il primo dei due ponti che la congiungono alla terraferma. È lungo 14 chilometri e corre basso per alzarsi solo con due campate, luce libera 28 metri.

Già da lontano vediamo molti pescatori appostati sulle grandi basi dei piloni, ma non crediamo ai nostri occhi quando vediamo che metà del canale di passaggio (profondità circa 8 metri) è ostruito da reti! Con tutto il mare intorno, proprio qui? Passato il ponte accostiamo a sinistra passando tra Penang e l'isolotto Jerojak, ed andiamo ad ancorare circa 300 metri a sud del secondo ponte, profondità 7 metri, fondale fangoso (5°21.307'N 100°19.039'E).
Ancoraggio consigliatoci da Fabio di Amandla: "Siete a fianco di un piccolo marina, dove potete lasciare il dinghy, a 300 metri c'è il molo della stazione di polizia (così potete dormire tranquilli), il centro di Georgetown è a 6 km, raggiungibile facilmente con il servizio di Uber…"
Tutti gli aspetti positivi segnalati da Fabio si sono dimostrati veritieri, l'unica cosa che ha omesso di dirci è che il traffico sul ponte è incessante, sembra di essere all'ancora sotto il ponte di Brooklyn a New York! In compenso la protezione è a 360° e non c'è onda provocata da traghetti e barche veloci, come a nord davanti alla città.
Giovedì 13 abbiamo appuntamento in città proprio con Fabio e Lisa, arrivati già da alcuni giorni per controlli sanitari. Ispirato forse dal colore dell'acqua davvero poco invitante, prima di lasciare la barca decido di controllare lo stato del filtro della presa a mare (su Refola ce n'è una sola, per il raffreddamento dei vari apparati e per i WC). Le condizioni del filtro erano assolutamente penose: un denso strato di melma ricopriva incrostazioni, conchiglie bivulva, denti di cane, davvero non so come faceva l'acqua a passare. Sembrava non essere stato pulito da anni, mentre siamo in acqua da meno di un mese! Lilli ed io ci armiamo di santa pazienza e lo ripuliamo ben bene, prima di scendere a terra col dinghy.
Per raggiungere l'albergo dove alloggiavano i nostri amici prendiamo un passaggio da un gentile giovane che usciva dal marina insieme a noi. Fabio e Lisa conoscono bene Georgetown (Lisa ne è letteralmente innamorata): da bravi anfitrioni ci conducono a pranzo in un locale caratteristico, dove impastano a mano chilometri di noodles (versione asiatica dei nostro spaghetti e fettuccine), tirando la pasta con grandi macchine che a Lilli ricordano la "Imperia" della sua mamma.
Ogni tanto però, temo a beneficio dei turisti, la pasta viene battuta con un'enorme canna di bambù, che un giovane cuoco fa andare su e giù montandovi a cavalcioni.
La "pasta" viene servita con salse, carne, pesce, anatra… tutto molto buono, ai soliti prezzi stracciati cui siamo ormai abituati.
Il centro storico di Georgetown, definito Patrimonio Mondiale dell'Umanità dal 2008, è estremamente vivace e ricco di interesse; vi convivono in inestricabile mescolanza le comunità cinesi, indiane e autoctone. Botteghe di tutte le specie, artigiani di ogni sorta, ambulanti, tradizionali risciò quasi sempre condotti da anzianotti macilenti (quasi certamente più giovani di noi, ma non nell'aspetto). Le costruzioni sono tutte a due piani, in contrasto con la vasta area periferica, densa di grattacieli e di enormi palazzoni; il caldo ed il sole tagliano le gambe, appena possibile ci rifugiamo sotto i bassi e stretti portici delle vecchie residenze dei notabili. Ogni tanto, lo confessiamo, ci andiamo a riparare in grandi negozi dotati di aria condizionata, giusto per prendere una boccata di ossigeno.
Passiamo così tre giorni, girovagando (spesso boccheggiando) per le viuzze del centro e rientrando in barca verso il tramonto.



A parte il casuale passaggio del primo giorno, per il tragitto marina/città/marina abbiamo utilizzato, come suggerito da Fabio, il servizio taxi di Uber. Un'esperienza totalmente nuova per noi, inguaribili provinciali. È bellissimo: una volta scaricata l'applicazione sul telefono, diventa un gioco, estremante divertente. Tu apri la app, il sistema rileva la tua posizione, digiti la tua destinazione, in pochi secondi ti viene comunicato quanto devi aspettare (5-10 min. massimo), quanto costa (tra 8 e i 15 RM, 1,5-3 €), chi è il tuo autista, che esperienza ha etc etc. Come in un video gioco, puoi seguire sulla mappa il percorso che l'autista sta facendo per raggiungerti. E alla fine puoi valutare la corsa e l'autista! Non me ne vogliano i tradizionali tassisti, ma questo è un altro mondo.

martedì 11 luglio 2017

Mollati gli ormeggi!

Finalmente le cose hanno iniziato a girare per il verso giusto, nel senso che uno alla volta siamo riusciti a risolvere i vari problemi di questa stagione (siamo o non siamo nel 2017?).
Uno sbalzo di tensione elettrica capitato mente stavano lavorando su alcune colonnine del pontile è stato probabilmente la causa dell'improvviso guasto al nostro caricabatterie da 30 A. Nessuno aveva avvisato che erano in corso lavori di manutenzione e che occorreva staccare i carichi, così al momento del ripristino, con la rete sotto carico, è arrivata la sovratensione. Non solo noi, ma almeno un altro paio di barche ne hanno fatto le spese, subendo danni ahimè difficili da dimostrare per imputarli al marina.
Contatto immediatamente il produttore del caricabatterie Dolphin, che mi rinvia al dealer di Singapore, per sentirmi dire che il guasto non è riparabile, che il mio modello non è più in produzione, e che avrei dovuto pertanto comprare un nuovo modello (di cui scopro tra l'altro che ha dimensioni maggiori e non troverebbe posto nella mia sala macchina).
Ho il nervoso a mille quando Ruz, la segretaria del marina, ci viene in soccorso: "Prova da Lee Electrical, forse te lo possono riparare…" E così è stato: Lee Electrical è un fornitissimo negozio di articoli elettrici; non potevano riparare il nostro caricabatterie, ma ci hanno segnalato un tecnico, Anthony Tan, cui  abbiamo telefonato seduta stante. "Lasciate alla Lee il pezzo - ci dice - passo a prenderlo, provo ad aggiustarlo, domani vi so dire". Il giorno successivo ci richiama: "Il caricabatterie è pronto, andate a prenderlo in negozio, il conto è 135 RM (27 €)". Cacchio, quante volte ci avranno dato come "impossibili" riparazioni che avevano solo bisogno di tecnici all'altezza? Vabbè, l'importante è aver risolto.
Anche il problema dei due motori fuoribordo è superato: sono rientrati, ambedue funzionanti, dopo la sostituzione di candele, olio, girante (del Tohatsu, cui è stato smontato e ripulito il carburatore), con una spesa di circa 120 €.
E veniamo alla spinosa questione delle batterie. Il 5 luglio ci arriva la fattura da pagare, ma notiamo che la consegna è prevista da 5 a 10 giorni lavorativi dopo il pagamento. Altre due settimane di attesa? Non è possibile! Manifestiamo tutto il nostro disappunto: ci rispondono che non dipende da loro, ma dal trasportatore. Lilli lancia un'idea: "E se andassimo noi a prenderle?"
Ancora una volta Ruz risolve la situazione, procurandoci per l'indomani mattina un pick-up a noleggio. E così giovedì 6 luglio ci cucchiamo 500 km di macchina (circa 8 ore, tra andata e ritorno), ma alle 16,30 le batterie sono a bordo di Refola. Da queste parti non lo dicono, ma noi sappiamo che "se la montagna non va a Maometto…"
La mattina di venerdì 6 luglio mi dedico al collegamento delle 12 nuove batterie (le vecchie le regaliamo ai ragazzi del marina, basta che vengano a prendersele), le lascio un paio d'ore a riequilibrarsi senza metterle in carica, poi provvedo a resettare il battery monitor Xantrex e nel pomeriggio … et voilà, anche l'operazione è completata.
Purtroppo è tardi per recarci in dogana e dall'Harbour Master per fare le pratiche di uscita, quindi la partenza è rimandata a lunedì.
Ma le sorprese non sono finite: ne abbiamo due belle e una così e così.
La prima bella è che sabato mattina sentiamo bussare sulla fiancata di Refola: è Leopoldo, arrivato fresco fresco (si fa per dire) dall'Italia. Sapevamo che doveva arrivare, ma non eravamo sicuri di incontrarlo prima di partire. Grandi abbracci e saluti, tante chiacchiere (finalmente si parla veneto). La sua barca, Yaya, è a secco nel nostro cantiere e Leopoldo la metterà a punto per affrontare l'oceano indiano, partendo da Jakarta, alla fine di agosto. In solitario, come il suo solito!
La seconda bella sorpresa è che il marina ha organizzato per domenica una festa, invitando a pranzo gli equipaggi di tutte le barche; nonostante siamo satolli di cibo dopo la cena di sabato sera a bordo di Cassiopee (cui Gerard e Claudine hanno invitato anche Leopoldo), tutti insieme ci rechiamo all'Hotel Sophera, dove troviamo un grande buffet, con grande varietà di pietanze, tutte molto buone. Peccato avere già la panza piena!

Ecco la nostra Ruz
Per l'occasione Lilli ha indossato il suo nuovo vestito in stile Hermès/indonesiano, acquistato in un grande magazzino locale, che le ha fatto ricevere un sacco di complementi!
Lunedì 10 luglio siamo finalmente pronti per partire. Prenotata la macchina con autista per andare di prima mattina a fare le pratiche di uscita, intendiamo salpare a mezzogiorno. No way! Ecco la terza sorpresa: la precisissima Ruz ci comunica che il vaporizzatore del terzo frigorifero (ordinato al negozio L'Altra Randa di Milano circa una settimana fa) è già arrivato. "Bene - diciamo noi - non abbiamo bisogno di quel pezzo adesso, lo puoi tenere qui fino al nostro ritorno?" "No - dice lei - poiché l'avete fatto arrivare come pezzo di ricambio (quindi esentasse), il pacco non può essere ritirato se la barca non è qui!".  Un altro impedimento alla nostra partenza! Ce la faremo mai a schiodarci di qui?
Ruz deve aver colto la nostra costernazione: "Non vi preoccupate, se aspettate domani mattina potete prima ritirare il pacco in dogana e poi registrare l'uscita". Ok, tutto rimandato a domani.
Finalmente martedì 11 luglio di buonora andiamo col taxi (l'autista è il marito di Ruz, tutto in famiglia) prima all'Harbour Master e poi in dogana, dove troviamo ad aspettarci il corriere DHL; 10 timbri su altrettanti fogli, ritiriamo il nostro pacco, completiamo le pratiche per la partenza e … siamo liberi!
A mezzogiorno, accompagnati dai saluti di Leopoldo, Gerard e Claudine, molliamo gli ormeggi!
La nostra prima meta è Penang, a circa 60 miglia, ma per evitare la navigazione notturna, faremo sosta per la notte all'isoletta Madang, vicina alla costa, a sole 15 miglia da Pangkor. Ma almeno saremo in mare!!!!!


PS. Una nota importante per chi si fa spedire in Malesia pezzi di ricambio. Qualsiasi articolo acquistato all'estero è esentasse a condizione sia espressamente indicata nell'indirizzo la seguente dicitura: "Yacht in transit ….. (nome della barca) - Ship's spare HC9800"

sabato 1 luglio 2017

Pangkor Marina – ANCORA QUI

30.06.2017
Sì, siamo ancora fermi qui, sempre in attesa delle batterie. Vengono dalla Cina, e probabilmente sia il trasporto che le procedure di dogana hanno risentito del mese di Ramadan e delle numerose festività a seguire. È un mese speciale per la comunità mussulmana... e lo sta diventando anche per noi, che in cinque anni non abbiamo mai fatto una sosta tanto lunga!
Durante il Ramadan la gente digiuna di giorno, ma recupera ampiamente di sera. Nel resort dove abbiamo alloggiato per 15 giorni abbiamo approfittato più volte del ricco buffet che veniva allestito ogni sera: grande quantità e varietà di pietanze, che non siamo riusciti ad assaggiare tutte. L'affluenza era sempre molto alta, e gli ultrasessantenni (ora anche Lilli appartiene alla categoria) godevano dello sconto del 50%: 5 € a testa anziché 10 €. Ovviamente da bere né vino né birra, ma solo the e altre bevande dolciastre non meglio identificate.
Ormai la lista dei più importanti lavori da fare su Refola è quasi tutta spuntata, anche se qualcosa di nuovo salta sempre fuori, come il motore fuoribordo del dinghy, Toahtsu 9.8 CV. Quando provo la messa in moto già immagino che dopo 6 mesi di sosta difficilmente partirà al primo colpo; così è infatti, salvo accendersi dopo 5-6 tentativi … per spegnersi 10 secondi dopo, definitivamente. Inizio una serie di controlli, a cominciare dal serbatoio della benzina; vi trovo una tale quantità di sporcizia, provocata dalla ruggine del galleggiante che segnala il livello, che ci sarebbe stato da stupirsi se il motore fosse partito. Poi sostituisco il filtro della benzina, smonto il carburatore ed il filtro dell'aria, pulisco le candele. Ho fatto insomma tutto quello che potevo, dopo di che gli ho detto (al motore): "ora tocca a te!". Macché, non meno di 200 tentativi di avviamento e … niente, solo una spalla dolorante! Mi sono arreso e ho chiamato un tecnico locale, che proprio oggi è venuto a ritirare il motore. Con l'occasione, gli ho rifilato anche il secondo fuoribordo, un Susuki 6 CV, che era fermo da 5 anni.
Qui siamo in buona compagnia. Ci sono i francesi Gerard e Claudine di Cassiopee, che conosciamo da molto tempo; hanno messo in vendita il loro Amel Super Maramu e pensano di restare in Malesia per molti anni, usandola come base di partenza per i loro viaggi nel SE asiatico.
Abbiamo conosciuto Fabio e Lisa di Amandla. Lui è italiano, 66 anni, ha vissuto un po' in Italia, un po' in America e un po' in giro nel resto del mondo. Dal 2004 vive in barca a tempo pieno; combatte un tumore da 5 anni, ma operazioni, terapie e controlli non gli hanno affatto passare la voglia di navigare, anzi. Lisa invece è americana, ha lasciato il lavoro a New York per imbarcarsi con Fabio, non parla né capisce l'italiano e il suo inglese è molto americano (anche Lilli fatica un po' nella conversazione), però è molto simpatica.
Lisa e Lilli si sono prese una mattinata di libertà e sono andate col piccolo aliscafo di linea alla "vera" Pangkor Island. Ricorderete, forse, che quella del Marina è un'isola artificiale, il cui progetto – davvero ambizioso – prevede l'edificazione di palazzi e torri che oggi non esistono. Ecco il masterplan del progetto
Nella vera Pangkor Island, invece, un bel tempio cinese, il  Fu Lin Kong Temple, sui cui tetti numerose svastiche, che qui però hanno altro significato

l'immancabile moschea,
un tempio induista in costruzione,
belle spiagge,
un notevole cantiere di costruzione di pescherecci in legno
Ora parliamo un po' di questo marina-cantiere, che ormai conosciamo abbastanza bene. In acqua ci sono circa una cinquantina di posti, mentre a terra possono arrivare anche al doppio; le tariffe sono molto convenienti, del 40% inferiori a quelle normalmente in uso sia in Malesia e anche di più rispetto alla vicina Thailandia, ed è quindi sempre pieno. Bisogna prenotare per tempo per assicurarsi sia l'ormeggio che il posto a terra (ruz.pangkormarina@gmail.com).
James Khoo è il direttore del marina, una persona esperta e disponibile ad aiutare in ogni evenienza; non è sempre presente in ufficio, ma è coadiuvato da due segretarie Ruz ed Akina, altrettanto disponibili ed intraprendenti: non fai a tempo ad esporre loro una richiesta o un problema che immediatamente si attivano per metterti in contatto con la persona giusta per risolverlo. All'arrivo viene consegnato ad ogni cliente un foglio in cui sono elencati nomi e numeri di telefono, non solo dello staff, ma anche dei diversi tecnici che lavorano in proprio (meccanici, elettricisti, saldatori, lavorazioni per la vetroresina, pittori ecc.), oltre ad altri riferimenti utili (taxi, autonoleggio, hotel, appartamenti, trasporti pubblici, negozi e supermercati, strutture sanitarie e governative).
Ci sono poi 7-8 marinai che provvedono ad alaggi, vari, ormeggi etc, e che si alternano in turni 24/24 per assicurare anche il guardianaggio notturno. Non tutti parlano inglese ma in qualche modo ci si capisce sempre e i sorrisi non si contano.
Per l'alaggio qui è in uso un carrello telecomandato che scende in acqua e solleva la barca per mezzo di due longheroni tubolari in gomma orientabili, che permettono di tenere la barca sempre in posizione orizzontale, anche sullo scivolo inclinato; uno dei migliori sistemi che abbiamo avuto modo di sperimentare.

Quando siamo stati qui la prima volta, a novembre 2016, siamo rimasti talmente ben impressionati dall'organizzazione e dall'accoglienza che prima di tornare in Italia abbiamo preparato per Ruz ed Akina la nostra famosa ed apprezzata torta di mele.
Tutto sommato, anche se la nostra sta diventando una sosta forzata, qui al Pangkor Marina Island non si sta male: aria condizionata in barca, consumo di elettricità ed acqua a forfè 13 € al giorno ormeggio compreso, ristoranti economici… Non ci staremo abituando un po' troppo alle comodità?